Salendo per la strada che conduce a Collemancio e deviando a sinistra in via Costa del Sole, si arriva in località Fonte della Tina, sotto il castello di Limigiano, dove scorre il torrente Rapace, che da San Sisto (Castelbuono) scende verso Cannara.

È un luogo selvaggio, dove la natura sta riconquistando spazio nel silenzio più profondo, perché in piena estate non si sente neppure il rumore dell’acqua.

La pozza di acqua sulfurea, oggi non più pura per diverse infiltrazioni, è oggetto di storie, più o meno fondate e lontane nel tempo, raccontate ancora dagli abitanti del luogo. Ci si cala in un’atmosfera magica, fantastica e riferita a prima e dopo il periodo romano, perché si parla del ritrovamento nel territorio tra Limigiano e Collemancio anche di un corno ci cervo megacero gigante, che poteva avere un’apertura delle corna fino a 3 metri nel pleistocene medio. I ragazzini si calavano da Limigiano in questo fosso, che era un po’ il centro di ritrovo, per fare il bagno, per bere l’acqua e per trovare qualche pietruzza di mosaico, divertendosi in giochi allora immaginari.

Un po’ sotto terra, infatti, sono stati trovati i resti di una villa del periodo romano. Ne parlarono tra i primi Giulio Baldaccini e poi Giovanni Canelli Bizzozzero, che stava dirigendo gli scavi a Urvinum Hortense. Durante alcuni lavori agricoli fu scoperto un mosaico, parte di un edificio termale, che aveva due rampe di gradini di pietra: una conduceva al livello superiore e l’altra scendeva verso il torrente.

In un tratto del fosso sono visibili blocchi di pietra, che determinano una differenza di quota e quindi una cascata. Il luogo è chiamato Borgo di Maria Chiara, dal nome dato dalla gente all’antica regina che, bevendo l’acqua, si dice guarì dalla scabbia.

La regina sarebbe stata solita ripetere: “Li mi sano”, espressione che forse dette il nome al castello. Secondo altre ipotesi, il toponimo deriverebbe dal latino limite sano, in quanto il castello, del X secolo, sorgeva sulla parte più sana del territorio, circondata dalle paludi seguite al prosciugamento del lacus umber; oppure, e questa sembrerebbe l’ipotesi più plausibile, il castello deriverebbe il suo nome dal dio Giano. Più a monte c’è località Catenillo, dove i ragazzi facevano il bagno. Ritornando sulla via Perugina verso Bevagna, poco avanti, si sale a destra in via Limigiano. Entrati nel castello, appare il vecchio monastero. Il cortile mantiene la struttura architettonica originaria, con un pozzo centrale. Il monastero, fondato nel 1058 e dedicato a Sant’Angelo, fu dipendente prima da Perugia e poi da Sassovivo sempre con la regola di San Benedetto.

Scrive lo Spetia che non sempre gli avvenimenti di questo monastero ebbero un carattere religioso. A seguito di episodi di monaci (Francesco e Gennaro) in cerca di avventura galanti, ci fu una rivolta degli abitanti di Limigiano contro il monastero, che, invaso e messo a ferro e fuoco, vide l’uccisione dell’abate Francesco e di altri monaci.

Ruggero Trinci, priore di San Feliciano di Foligno, fu incaricato di far svolgere il processo, constatato dagli atti che i delitti erano veri.

La chiesa di San Michele Arcangelo è a tre navate: quella a s. è divisa in cappelle con, in fondo, un affresco raffigurante il martirio di San Sebastiano e sulla volta gli Evangelisti. Presso la porta c’è un capitello romano con l’acquasantiera, mentre l’altare maggiore poggia su un rocchio di colonna romana. Sulle pareti esterne si possono vedere le bifore della facciata e le monofore delle absidi.

Annarita Falsacappa, Giovanni Mariotti, Paolo Porzi – BEVAGNA GEMMA DEL PIANO. Immagini insolite e storie inedite – Dimensione Grafica Editrice – 2013 – pp. 221-226

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