Maria Alinda Bonacci Brunamoti scrittrice e poetessa(1841-1903)

Visse soprattutto a Perugia, nel quartiere di Porta di Santa Susanna, prima in Via del Poggio e poi in Via dei Priori nel Palazzo Lippi Boncambi, anche se le vicende familiari e il matrimonio la condussero per brevi periodi a Recanati, a Trevi e, appunto, a Bevagna. Infaticabile nella scrittura, ella si misurò con diversi registri: la poesia (Canti, Canti Nazionali, Nuovi Canti), la saggistica (Discorsi d’arte, in primis su Raffaello Sanzio e Pietro Perugino), la diaristica. Se l’Alinda poetessa suscita reazioni contrastanti (è considerata modesta da Giosuè Carducci e Benedetto Croce, mentre è lodata senza riserve da Francesco De Santis), le sue conferenze, pubblicate nei discorsi d’arte, sono seguitissime e assai apprezzate.

Nella Valle Umbra, la prima casa in cui nel 1868, giovane sposa di Pietro Brunamonti, viene accolta Maria Alinda Bonacci non è quella di Bevagna, ma la villa di Trevi, nella frazione La Pigge, vicino alle sorgenti del Clitunno.

A Trevi trascorre ogni anno con il marito la villeggiatura autunnale e compone quattro dei suoi più ispirati carmi – Il Clitunno e Un autunno in villa (ottobre 1870), Il terremoto ossia Le forze della natura e del pensiero (“Canzone scritta in una villa sul Clitunno poco dopo che vi s’intese un terremoto, il 16 ottobre 1871, alle 9 di sera”), Ad Andrea Maffei (29 maggio 1874) – che si leggono nella silloge dei Versi pubblicata nel 1875 a Firenze dall’editore Le Monnier, nonché la lirica Due cieli (ottobre 1877), nel volume dei Nuovi Canti pubblicato nel 1887 a Città di Castello dall’editore Scipione Lapi.

Nella villa sul Clitunno i Brunamonti torneranno fino a quando, dal 1887, viene destinata alla villeggiatura la nuova casa di campagna (comunemente chiamata, come allora si usava dire, il casino, ossia ‘la casetta’, ‘il villino’), edificata nel 1885 dal suocero sulla collina di Bevagna (in località Colleallodole), dove anche Pietro Brunamonti si spegne il 2 ottobre 1913, assistito dalla figlia Beatrice e dal genero Luigi Tarulli. Ma è nel centro di Bevagna, in quel palazzo di Corso Matteotti 79, oggi Hotel Brunamonti, residenza appunto del suocero Angelo Brunamonti, che la poetessa soggiorna a più riprese.

L’occasione del soggiorno a Bevagna è sempre gradita ad Alinda, che si effonde in deliziose descrizioni del paesaggio, vissuto davvero e non simbolicamente enunciato, come questa che intitola Mazzetto settembrino: “Stranamente malinconica alla sera questa vallata stretta tra Foligno e Bevagna. Molti insetti cantano alla notte tra le frescure delle acque con sibili e querele prolungate. Saranno grilli? cavallette? o che altri animalucci? Sotto la luna un nastro di nebbiette segue la linea del fiume e i pioppi col fusto bianco s’affollano sulle acque fonde del mulino. Le siepi son cariche dei primi frutti autunnali. […] I cardi mandano via a fiocchi i loro semi impiumati. È l’ora che vadano a sperdersi e fondar nuove famiglie di triboli oziosi e dolorosi per tutte le ripe delle strade maestre. Solo il somarello affamato, che ha poco cibo e nessuna gentilezza del padrone, gradisce abboccare quelle piante spinose, che ogni altra bestia rifiuta, e sa trarre dalle loro radiche una bontà di sapore aromatico. Le vedovelle violette odorano per tutto” (12 settembre 1886). A Bevagna sembra ravvivarsi anche l’interesse della poetessa per le tradizioni popolari e il dialetto; così il 15 ottobre 1887 registra una serie di Bei modi di dire raccolti nel contado di Bevagna. Fra i numerosi esemplari di poesia popolare, la poetessa ne mette in evidenza uno, senza dubbio il più prezioso, che annota e commenta, ed è dedicato al borgo amato: “Or ecco un rarissimo stornello: rarissimo perché è proprio paesano: qui inventato, non disceso da altri castelli. Né sono mai comuni nelle campagne nostre le canzoni che per qualche descrizione particolare si debbano attribuire al paese dove si cantano.

Bevagna è bella da le mura basse / ier sera ci passò con gran paura, /

pregò la luna non m’illuminasse, / lia che per pietà si fece scura.

È il racconto d’un amore combattuto. Come chi camminasse saltando da un ponticello all’altro, bisogna qui raccogliere il senso spezzato ad ogni verso. L’amante ha la sua bella dalla parte delle mura: Bevagna è tutta girata da vecchie e basse muraglie medievali: intorno alla cinta del paese sono viottole campestri: per alcune di quelle vie cupe e nascoste va l’amante spiando forse qualche finestra illuminata nelle casette esterne. Se la luna torna a brillare nella sua chiarezza, i passi furtivi del giovane saranno scoperti. Così invoca nel canto un nuvoletto che ricopra la luna, fatta pietosa come sempre a servizio degli amanti e dei poeti cittadini o campagnoli classici o romantici o stornellanti. Insomma in questi canti raccolti a Bevagna v’è anche una certa originalità paesana. Nel 1891, durante alcuni lavori edili in una casa privata di Piazza Garibaldi, torna alla luce un mosaico romano; nell’autunno, la poetessa si reca a vederlo e così lo descrive nel brano del diario intitolato Mosaici romani a Bevagna (Novembre 1891): “La scorsa estate s’è scoperto a Bevagna nella cantina d’una casuccia un pavimento grande e in parte ben conservato, a mosaici. Un dio lacustre, o forse meglio fluviale, tiene il centro, regge le briglie a un cavallo pesce ed è coronato colle chele dei granchi”.

Notevole infine il ricordo della costruzione della fonte di piazza, che sostituisce l’antico pozzo medievale (15 novembre 1895): “Il pozzo medievale della Piazza antica di Bevagna vien demolito, perché sovr’esso appunto sorgerà la nuova fontana di marmo per l’acqua potabile, che deve esser condotta in questi giorni da Foligno. Tolte al pozzo le prime file di pietre e di mattoni, che ne sostengono il parapetto, si vede il foro profondarsi nella creta: e su quella creta, che riceve oggi per la prima volta i raggi del sole, appare una vegetazione foltissima di capelveneri, certo molte volte secolari. […]. E questo pozzo, forse prima d’esser pozzo medievale, fu pozzo romano, e prima di ricevere in grembo le secchie da mani guelfe e ghibelline, riceveva in antichi secoli le anfore romane; mentre sulla via Flaminia soprastante, forse tra le fanciulle succinte nei pepli e gli uomini togati, correvano i soavi distici di Properzio, il poeta paesano”.

L’ultimo ricordo di Bevagna è appunto quello del periodo di convalescenza successivo al manifestarsi della malattia: “Domani 5 ottobre andremo in campagna: l’aria buona e la vita dei campi mi gioverà forse più che non mi abbiano giovato le medicine. […] Respiro la pien’aria sul prato quando è sereno rimanendo seduta fuori per molte ore. […] Da 20 giorni siamo in campagna e la mia salute se n’è straordinariamente avvantaggiata. Vivo all’aria aperta tutto il giorno e in quanto mi riesce senza eccessivamente stancarmi cammino intorno al prato e mi nutro d’aria e di luce”.

(L. M. Reale e R. Segatori in Grande dizionario di Bevagna, 8).

 

Elsa De’ Giorgi (Pesaro 1914 – 1997 Roma)

Attrice, regista, scrittrice.  Di antichissima nobile famiglia (discendente in linea materna dalla madre del Beato Giacomo Bianconi (Bevagna 1220 – 1301), nasce a Pesaro dove il padre è professore di liceo. Mentre è studentessa, appena diciottenne, viene scelta dal regista Mario Camerini, che la vede in un ritratto esposto nella vetrina di un fotografo, a interpretare da protagonista il film T’amerò sempre, 1933, con Nino Besozzi, la storia di un’orfana, sedotta da un conte, madre della figlia della colpa, che troverà la quiete nella devozione di un collega di lavoro. Elsa, nata Giorgi Alberti, adotta il nome d’arte di Elsa De’ Giorgi. Interprete in 26 pellicole – cui Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini di cui è grande amica – De’ Giorgi nel 1955 pubblica un memoir di eccezionale intensità, I coetanei, il racconto della dolce vita romana poco prima della guerra, e un ritratto politico e critico del regime negli ozi e lussi del mondo di cineasti e gerarchi.  Seguono altri libri, fra cui il racconto del suo amore-passione, ricambiato in ossessione, con Italo Calvino Ho visto partire il tuo treno, 1992, e raccolte di poesie: Dicevo di te Pier Paolo, 1977 e Poesia stuprata dalla violenza, 1978. Famoso il suo salotto romano di via di Villa Ada dove conveniva la migliore intellighenzia.

(A. C. Ponti)

Maria Venturini nasce a Trieste l’8 settembre 1932

Trascorre la sua vita tra Roma, Napoli ed Ivrea, chiamata da Adriano Olivetti nel Movimento di Comunità. Giornalista e scrittrice, appassionata di musica, amica di personalità nazionali di rilievo (tra cui lo storico Piero Craveri, nipote di Benedetto Croce, il sociologo Giuseppe De Rita, la giornalista Miriam Mafai) sposa il lucano Giuseppe Ciranna, figura di rilievo della cultura democratica e laica nonché direttore della Voce Repubblicana. Con il marito decide di vivere l’ultima stagione della sua vita a Bevagna, dove muore il 23 febbraio del 2009.

Nel corso della sua brillante carriera ha scritto su periodici e riviste tra cui Nord e sud, Delta, Mondo Cucina, Città e Campagna (di cui è stata direttrice), Mondo Economico e Il Mondo. Ha inoltre collaborato con la Rai nel programma Sala Effe e con i quotidiani Voce Repubblicana, Il Giorno e Il Globo.

Ha vinto diversi premi nazionali. Nel 1967 il Premio del Concorso tra giornalisti e scrittori per il Comitato Italiano per il “Gioco Infantile” dell’International Council for Children’s Play. Nel 1968 il Premio “Zanotti -Bianco” per la produzione giornalistica in difesa del paesaggio. Poi, nel 1989, il “Premio Iglesias” per un reportage sulla Sardegna pubblicato dal giornale di Genova “Il Secolo XIX”.

Maria Venturini ha scritto tanti libri di successo.

Con Le ragioni del Mezzogiorno ha vinto il Premio “Edizioni Marotta” di Napoli per la Sezione Meridionalistica. Con lo stesso editore (Calice) ha pubblicato il libro Il morso della mela, con tre conversazioni su temi legati al femminismo con Miriam Mafai, Gianna Schelotto e Ginevra Conti Odorisio. Nel 1998, per le Edizioni Lacaita, ha pubblicato Il dizionario della felicità, premiato nel 1999 a Martina Franca dalla Fondazione “Nuove Proposte”.

Nel 2003, per le “Edizioni Clitunno” ha dato alle stampe Olimpo Felino – Poesie, storie, avventure, filastrocche sui gatti di casa e su un escluso. È del 2007 la pubblicazione del suo bellissimo romanzo “Kreisleriana op.16 – Storia di due amori” (Lacaita). Il suo testamento morale è affidato a Dio sul lettino del Dottor Freud e altri ventiquattro racconti brevi, pubblicato postumo nel 2010 a cura della nipote Mariangela per le Edizioni Clitunno.  In questo testo, Maria Venturini riconferma così il suo amore per Bevagna: “Le colline di Bevagna: quando ci si è saziati dall’ammirazione di questo borgo, un po’ grande masseria, con i suoi pochi palazzi gentilizi e le sue case raccolte nei vicoli, e un po’ città murata che ricorda la Borgogna dai toni spenti delle sue pietre cariche di storia antica, allora lo sguardo va alle sue colline. Intatte nei profili che alle albe e ai tramonti tracciano confini luminosi…”. A Bevagna Maria vive con gli amati gatti, ascoltando musica classica, da Haendel a Bach ai notturni di John Field, organizzando concerti e iniziative culturali di ogni tipo.

La sua testimonianza è quella di una donna che aderisce alla vita momento per momento, sopportando stoicamente la malattia che la porterà via, in nome della sua visione di “un’umanità libera e laica”.

(RS)